Date alle fiamme tre automobili nella centralissima via Kennedy
Barcellona - Un grave atto incendiario si è verificato nella nottata di ieri, poco dopo le 3, nella centralissima via Kennedy di Barcellona. Nel rogo, di origine dolosa, sono state distrutte ben tre auto, una delle quali di proprietà della “Saipem” del gruppo Eni, parcheggiata davanti all’ingresso dell’edificio al numero civico 19, in cui sono ospitati gli uffici della società delle ex partecipazioni statali, impegnata nel coordinamento dei lavori di completamento della linea del metanodotto che attraversa i Peloritani. Le lingue di fuoco che si sono elevate dal rogo hanno raggiunto e danneggiato l’ingresso della palazzina dove, oltre ai due appartamenti occupati dalla società, vi sono ubicate civili abitazioni. Danneggiate le insegne e le vetrine di tre esercizi commerciali: di elettrodomestici, di calzature e di una agenzia di viaggi. Danni anche alle linee elettriche pubbliche ed a quelle telefoniche. Le fiamme - sulla base di una prima e sommaria ricostruzione - sarebbero state appiccate alla Fiat grande Punto della “Saipem” del gruppo Eni. Dalla prima vettura il fuoco si è rapidamente esteso ad una Volkswagen Polo di proprietà di un parrucchiere e alla Nissan Micra in uso ad una casalinga del luogo. Per spegnere il fuoco che nella notte ha generato panico, soprattutto tra gli abitanti della palazzina, sono dovuti intervenire i vigili del fuoco del distaccamento di Milazzo. Sul posto anche i carabinieri che hanno raccolto le denunce e avviato le indagini. (l.o.)
Due condanne ieri pomeriggio per l’udienza preliminare che s’è tenuta davanti al gup di Messina Giovanni De Marco, dedicata al “braccio armato” della famiglia mafiosa barcellonese e alle sue richieste estorsive, per i due imputati che avevano scelto nelle scorse settimane la strada del giudizio abbreviato. Si tratta del 35enne barcellonese Salvatore Micale, e di Santo Gullo, 46 anni, di Falcone, che sono stati condannati a 5 anni di reclusione con l’accusa di far parte della famiglia mafiosa barcellonese. Per Gullo e Micale l’accusa, rappresentata in questo processo dal sostituto della Dda Giuseppe Verzera e dal collega della Procura di Barcellona Francesco Massara, i due magistrati che all’epoca condussero l’inchiesta insieme ai carabinieri del Ros, aveva chiesto in precedenza la condanna a 6 anni di reclusione. Ieri si sono registrate le arringhe difensive degli avvocati Bernardo Garofalo, Giuseppe Lo Presti e Tommaso Calderone. Poi il gup De Marco si è ritirato in camera di consiglio, e nel primo pomeriggio ha deciso tutto. Per questo troncone dell’operazione antimafia “Pozzo” c’era stato nel corso delle precedenti udienze un “supplemento d’indagine”, in quanto il gup De Marco con un’ordinanza aveva deciso di appronfodire alcuni aspetti sull’appartenenza di Gullo e Micale al gruppo mafioso barcellonese. Aveva deciso infatti il giudice di sentire tra l’altro il collaboratore Emanuele Merenda, limitatamente ai fatti del processo (le sue dichiarazioni, per certi aspetti anche clamorose su scenari e ruoli della famiglia mafiosa barcellonese e sulla guerra di mafia che stava per scatenarsi, sono infatti confluite nell’inchiesta “Pozzo”). Poi aveva disposto l’acquisizione di alcune sentenze o informative di reato di altri processi, come “Icaro” e “Black out”, delle trascrizioni integrali degli interrogatori di Merenda, e anche l’accertamento dei movimenti carcerari sempre di Merenda. Tornando all’udienza di ieri Gullo e Micale erano accusati di aver fatto parte dall’aprile del 2007, con ruoli e funzioni diversi, dell’associazione mafiosa barcellonese riconducibile a Cosa nostra siciliana e operante sul versante tirrenico del Messinese. I due si trovano attualmente in regime di carcere “duro” dopo gli arresti dei carabinieri del Ros che scattarono il 30 gennaio del 2009 a conclusione di un’indagine durata mesi e molto complessa, sugli equilibri criminali delle cosche barcellonesi e dell’hinterland tirrenico. Nel procedimento “Pozzo” erano due le parti civili costituite: il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, che è stato rappresentato dall’avvocato Danilo Di Salvo, e due compagnie assicurative per una delle vittime del “pizzo”, l’imprenditore Vincenzo De Pasquale, che erano rappresentate dall’avvocato Luigi Ragno.
Autore: Nuccio Anselmo
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